mercoledì 26 settembre 2007

"Come ammazzare la moglie e vivere felici"

La prefazione del libro di Bruno Tinti, procuratore aggiunto a Torino, sembra illuminante.
Eccola.

Allora. Per prima cosa si ammazza la moglie. La si ammazza con particolare efferatezza, adoperando sevizie e agendo con crudeltà verso le persone sì da integrare l’aggravante prevista dall’art. 61 n. 4 del codice penale; (dunque la si accoltella più volte dopo averla legata e torturata per giorni e giorni) e lo si fa allo scopo di conseguire l’impunità dal reato di truffa per averla depredata di tutti i suoi averi (art. 61 n. 2 del codice penale).
Subito dopo essersi assicurati che sia morta davvero si corre dai Carabinieri insieme con un avvocato e, in sua presenza, si rendono dichiarazioni spontanee (che quindi saranno utilizzabili processualmente; in assenza dell’avvocato di quel verbale si può fare carta straccia), con le quali li si avvisa che la moglie è morta, che la si è ammazzata personalmente e che il cadavere si trova, con gli strumenti usati per torturarla e l’arma o le armi del delitto, in via tale numero tale al piano tale, interno tale; la porta è stata chiusa per evitare che estranei potessero contaminare il luogo del delitto ma la chiave viene consegnata illico et immediate ai Carabinieri.

I Carabinieri si recano sul luogo del delitto, constatano la rispondenza al vero di quanto denunciato dall’assassino, effettuano prelievi, accertamenti di Polizia scientifica e i necessari sequestri. Non arrestano il marito omicida perché:
1) Non sussistono specifiche e inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto e attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova, fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento (art. 274 del codice di procedura penale comma 1 lett. A).
Il marito uxoricida infatti ha avvertito subito i Carabinieri che hanno raccolto tutte le prove e anche la sua confessione. Sicché è escluso ogni pericolo di inquinamento probatorio.
2) L’imputato non si è dato alla fuga né sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga (art. 274 del codice di procedura penale comma 1 lett. B). L’uxoricida si è presentato immediatamente ai Carabinieri e questo, per giurisprudenza costante, esclude che dal suo comportamento possa desumersi l’intento di darsi alla fuga. E in effetti, se non si becca qualcuno con il piede sulla scaletta di un aereo diretto in Uruguay e con documenti falsi, non potremo mai dire che egli intende darsi alla fuga perché, se i documenti fossero veri, quello ci direbbe che sta per intraprendere un viaggio di piacere e non si potrebbe provare il contrario.
3) Non si può, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, pensare che sussista il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede (art. 274 del codice di procedura penale comma 1 lett. C).
L’immediata confessione e l’essersi messo a disposizione dell’Autorità rendono impossibile ritenere che sussista il concreto pericolo eccetera. E comunque trattasi di incensurato e specchiato lavoratore che nulla permette di ritenere che intenda commettere gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata.

Quanto ai delitti della stessa specie di quello per cui si procede, il nostro aveva una moglie e ormai l’ha ammazzata. Iniziata l’indagine penale, il PM non chiederà misure cautelari e comunque il Giudice non le concederebbe per tutti i motivi sopra spiegati. L’indagine è brevissima, proprio perché le prove sono state tutte acquisite; basta sentire i testi indicati dall’uxoricida a spiegazione del suo gesto e quelli indicati dai parenti della vittima. Si arriva in breve all’udienza preliminare per il reato di cui agli artt. 575, 576 e 577 del codice penale (omicidio che prevede la pena dell’ergastolo).

Ebbene: l’uxoricida chiede di essere giudicato con il rito abbreviato che, a norma dell’art. 442 del codice di procedura penale comma 2, prevede che la pena, determinata tenendo conto di tutte le circostanze, sia diminuita di un terzo. Le circostanze aggravanti sono quelle di cui all’art. 61 n. 4 del codice penale (sono state adoperate sevizie) e 61 n. 2 (si è agito per assicurarsi il profitto della truffa).
La pena prevista è l’ergastolo. Solo che: l’uxoricida dimostra di avere ammazzato la moglie, e tanto crudamente, perché lei lo tradiva con il suo migliore amico, che, in quanto migliore amico, sarà ben lieto di confessare, a pagamento, una circostanza che non gli porta nessun nocumento – anzi, la moglie morta era giovane e bella e sarà invidiato da tutti – e che nessuno potrà smentire; sicché al nostro assassino tocca l’attenuante di cui all’art. 62 n. 2 del codice penale, aver agito in stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, avendo fortunosamente appreso dell’illecita e odiosa relazione della fedifraga. Inoltre l’uxoricida farà offerta reale di una congrua somma di denaro ai parenti della moglie, a risarcimento del danno morale e materiale cagionato – la donna era solita sovvenirli con periodiche donazioni –, sicché gli tocca anche l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 del codice penale (risarcimento del danno).
Infine egli potrà godere delle attenuanti previste dall’art. 62 bis del codice penale che nessuno sa perché si concedono ma si concedono sempre; infatti si chiamano attenuanti generiche e vengono concesse perché si è tanto giovani, perché si è tanto vecchi, perché si è condotta una vita specchiata e meritevole, perché si è condotta una vita vergognosa ma la colpa non è tua, è del sistema, della scuola, della famiglia che tutti insieme hanno abusato di te, perché si è confessato, unica cosa giusta in questo caso, eccetera.

A questo punto il Giudice deve governare, bella parola, l’art. 69 del codice penale secondo cui, in soldoni, si deve stabilire se pesano più le attenuanti o più le aggravanti, o se pesano nella stessa misura, e, nel caso di prevalenza delle une o delle altre, applicare solo gli aumenti o solo le diminuzioni. Manco a dirlo, il caso di soccombenza delle attenuanti non esiste quasi nella giurisprudenza italiana; sicché:
1) Una volta venute meno le aggravanti, la pena per l’omicidio non è più quella dell’ergastolo ma quella della reclusione da 24 a 30 anni (omicidio del coniuge, art. 577 del codice penale).
2) I giudici non danno il massimo della pena manco se li ammazzi; quindi 24 anni.
3) Meno un terzo per il 61 n. 2, fa 16.
4) Meno un terzo per il 62 n. 6 fa 11,33 periodico.
5) Meno un terzo per il 62 bis fa 7,5.
6) Meno un terzo per il rito abbreviato fa 5.
7) Siccome la moglie la si è ammazzata prima del maggio 2006, 3 anni di reclusione sono abbonati per l’indulto.
8) Per i restanti 2 anni c’è la sospensione condizionale della pena.
9) Abbiamo comunque un anno di buono se le diminuzioni non vengono applicate nel massimo perché fino a 3 anni c’è l’affidamento in prova al servizio sociale.

A questo punto, di solito, tranquillizzo le mogli spiegando che tutto questo non è proprio verissimo perché il nostro saggio legislatore ha previsto l’art. 67 comma 1 n. 2 del codice penale che, nel caso di delitti originariamente puniti con la pena dell’ergastolo, limita le possibili diminuzioni, dovute ad attenuanti varie, fino a una pena minima di anni dieci. In genere molti mi fanno osservare saggiamente che questa è la legge attuale ma appena qualcuno che conta ammazzerà la moglie e sarà beccato questa norma sarà senz’altro abrogata. Io assento malinconicamente e comunque spiego che, se vogliamo restare proprio a termini di legge, in ogni caso si applica la legge Gozzini: per ogni anno di detenzione che sia stato scontato senza demerito – non con merito, buona condotta ecc., tutti concetti desueti, basta non aver fatto casino – si abbuonano tre mesi; sicché dopo cinque anni e qualche cosa si è ammessi alla detenzione domiciliare con ammissione al lavoro esterno, che vuol dire che la galera si sconta a casa quando si è finito di lavorare; più o meno come facciamo tutti noi.
Poi, arrivati a tre anni di pena residua, c’è l’affidamento in prova al servizio sociale. Così, in conclusione, alla fine ammazzare la moglie costa cinque anni di galera mal contati. Forse questa storiella è sufficiente per capire come mai la giustizia italiana funziona proprio poco e comunque male.

E' un ragionamento lineare.
Poi, come sempre, la realtà supera la giurisprudenza.

2 commenti:

Alberto Ancarani ha detto...

Non so dove tu l'abbia trovata, ma è drammaticamente splendida.

D'altronde queste mogli di oggi sono delle poco di buono e la Cassazione stabilisce che darla al marito non è nemmeno un dovere...

Ovviamente sto scherzando.

Semplice ha detto...

Il llibro è "Toghe rotte".

Credo che il discorso valga anche per noi, quindi: "Come ammazzare il marito e vivere felici"