Lo conobbi una triste giornata di novembre, quando il lavoro sembrava non avere fine e cercavo qualsiasi motivo per distrarmi.
Lui era sempre alla ricerca di una penna, continuava a dirmi che un giornalista senza penna era come un violinista senza violino e mi faceva ridere. Iniziai io, scrivendo una mail, lui mi rispose subito e la mia fantasia iniziò a galoppare.
Lui propose un incontro a metà strada, Firenze magari.
Così, ci andai senza una ragione precisa. Semplicemente: mi piaceva. E aveva solleticato la mia vanità, la mia voglia di scoprire e mettermi in gioco. Erano motivi sufficienti, no?
Arrivata alla stazione, lui era già lì. Due parole, poi il silenzio. Odio parlare di oroscopi e di vacanze, della città e dei bla-bla di circostanza. O è alta filosofia o è brutale pettegolezzo, nel mezzo c’è la noia che mi annoia. Decidiamo di andare in hotel, o meglio, decide lui dopo un goffo tentativo di recuperare un preservativo nelle farmacie chiuse della città.
Stupido tentativo, il mio, di replicare o cancellare il passato, per dimenticare gli occhi, le mani, la bocca di chi mi aveva insegnato a volare.
Impossibile tentativo. Lo sapevo ma volevo esserne incosciente allo stesso tempo.
Ci sono baci che non si scordano. Ci sono amori che non si dimenticano. Ci sono pomeriggi trascorsi in un hotel fiorentino vista Arno che non si dovrebbero neppure raccontare.
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